**Giorgia** |
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| Non mi sono mai definita una brava persona. Già nella pancia di mia madre strangolai la mia gemella col cordone ombelicale, all’ottavo mese di gravidanza. Ovviamente, come si premurarono di spiegare i medici, tutto fu assolutamente involontario. Una disgrazia insomma, la prima di una lunga serie. Ho ucciso centodiciannove persone nella mia vita. Centoventi, se calcoliamo quella sorella mai nata. Centoventuno, se includiamo quell’aborto da ragazzina. Centoventidue, se contiamo me stessa. Amavo i drink. Più degli uomini, più delle donne, più di uccidere. E come io, puntualmente, andavo a dare la morte, un giorno la morte venne da me. Puntualmente anche lei, dopo il mio ennesimo cognac. Quando il carcinoma epatocellulare iniziò a corteggiarmi, non ebbi il coraggio di respingerlo. Una storia col ragazzo sbagliato, insomma. Riflessioni come queste, di solito, ti prendono mentre stai per morire. Agonizzante, sul letto di un ospedale o sul ciglio della strada mentre ti tieni le budella in mano invocando la mamma. Ma io ero sul tavolo dell’obitorio, già morta e se avessi avuto la voce per invocare qualcuno, lo avrei fatto per avere una sigaretta.
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